Con il termine “pittorico”, in fotografia, di solito si intende uno stile per cui l’autore, in post produzione, elabora l’immagine con l’obiettivo di spogliarla della impressione dell’hic et nunc per proiettarla in una permanenza che abbia una valenza artistica.
Agli albori della fotografia, dal 1885 al 1915 circa, un gruppo di fotografi – il più famoso dei quali fu Alfred Stieglitz – rigettarono la concezione di fotografia come mero atto di registrazione meccanica della realtà. A quel tempo la fotografia non era ancora riconosciuta come una forma d’arte, così questi autori sperimentarono tecniche e processi chimici per per emulare gli effetti della pittura, spesso richiamandosi all’Impressionismo.
L’influenza di questo movimento fu ridimensionata radicalmente dopo che Ansel Adams e i suoi scolari definirono la fotografia come una forma di espressione avente statuto e dignità artistica in sé, che non aveva necessità di imitare la pittura. Il “Pittorialismo”, come ispirazione idealistica di ri-creare la realtà, non è mai scomparso, ed oggi le tecnologie di post produzione sono così avanzate da favorire un ritorno di questa tendenza.
Un concetto chiave è questo: definire la fotografia sempre come atto creativo, e come tale non può mai essere identificata come una riproduzione oggettiva del reale. Così come gli Impressionisti, la rielaborazione post eventum dell’immagine è giustificata dalla volontà di trasmettere allo spettatore l'”impressione” che hanno colpito il fotografo nel momento in cui ha deciso di premere il pulsante di scatto. E’ interessante ricordare l’importanza che ebbero le prime macchine fotografiche per gli impressionisti: usavano infatti partire da fotografie di paesaggi che avevano scattato per tracciare la struttura di fondo dei loro quadri.
Come, del resto, mi insegnò a fare, fin da bambino, mio padre. Dopo avermi insegnato le regole basilari della composizione e della prospettiva, mi invitava a scegliere dei soggetti, fotografarli (prima con una polaroid, in seguito con una reflex 35mm a pellicola). Quindi le foto che sceglievamo le trasponeva su tela a olio. E così oggi spesso faccio con la pittrice Alessandra Parravicini, o con la poetessa Eleonora Bellini, cui mi permetto di fornire delle immagini come fonte di suggestione o ispirazione. Così è nata con loro la nostra avventura nel Progetto Mimesis.
Provenendo da una tradizione di pensiero classica, ritengo che anche la fotografia sia, come ogni altra arte, una forma di “mimesi”: ovvero non di imitazione ma reinterpretazione creativa del reale. Come disse una volta il nostro grande fotografo italiano, Ferdinando Scianna, “trovo che un fotografo sia un interprete, è come un pianista. Il fotografo interpreta il mondo, lo guarda, lo racconta, ne recupera dei frammenti che possono fare a poco a poco, nel tempo, un racconto”.
Come a loro tempo gli impressionisti furono un fenomeno di rottura rispetto a una certa tradizione, l’ispirazione “pittorialista” che cerco di infondere nei miei lavori, non vuole essere un’imitazione artificiosa e posticcia della pittura, ma qualcosa di originale, che cammina sul filo sottile tra due linguaggi espressivi.
Non, dunque, un ritorno ad un movimento di cent’anni fa, ma una ricerca, studiata e curata nei particolari, di una modalità di raccontare e condividere il soggettivo “sentire” del reale.